lunedì 21 agosto 2023

Eredità, cosa insegnano i testamenti lasciati da Silvio Berlusconi

IL Sole 24 Ore | PRIMO PIANO | 17 LUGLIO 2023 | Angelo Busani

La trasmissione ereditaria del patrimonio di Silvio Berlusconi, e specialmente i suoi testamenti, hanno provocato, per la notorietà del defunto, un enorme interesse per alcune regole base del diritto ereditario. In più, il fai-da-te, che sorprendentemente ha caratterizzato le disposizioni testamentarie del de cuius, ha acceso un luminoso faro sugli errori che bisognerebbe evitare quando si compila un testamento e sul fatto che il testamento – essendo uno strumento delicato e complicato – andrebbe fatto dopo aver consultato un esperto della materia. 1. Comunione o divisione Prioritaria è la scelta di campo che ogni testatore dovrebbe compiere: lasciare agli eredi una comunione indivisa o procedere con il testamento a suddividere il patrimonio tra loro (sempre che, in linea di fatto, ciò sia possibile)? Ad esempio: se il de cuius (in ipotesi, divorziato con cinque figli come Berlusconi) è proprietario di cinque appartamenti, bisogna scegliere se provocare una comunione tra i cinque figli (in quote eguali oppure taluno per la quota di legittima e gli altri per la quota disponibile) oppure se disporre una divisione (l’appartamento Uno a Caio, l’appartamento Due a Sempronio, eccetera), magari prevedendo conguagli a carico del figlio assegnatario di beni di maggior valore rispetto agli altri. Peraltro, il concetto di “maggior valore” e l’entità del conguaglio potrebbero essere fonte di divergenze e discussioni tra gli eredi. È bene perciò usare un criterio il più possibile oggettivo per determinarli. In linea generale, il consiglio è quello di non seguire l’esempio di Berlusconi. La comunione è una situazione difficile da gestire e suscettibile di dar corso a litigi. Gli eredi in comunione, prima o poi, a una divisione debbono pur sempre addivenire; e allora, tanto vale che vi provveda il testatore. Se poi nell’eredità vi sono quote di partecipazione al capitale di società, la comunione rende necessaria la nomina di un rappresentante comune degli eredi (che non possono andare in assemblea individualmente finché dura la comunione), il quale, ogni qualvolta vi sia un voto da esprimere, deve ricevere istruzioni dall’assemblea dei “comunisti” (così, nel gergo giuridico, si chiamano i soggetti che partecipano a una comunione). 2. Legittima e disponibile Se il testatore attribuisce a un figlio la legittima e ad altro figlio sia la legittima che la disponibile (favorendo quest’ultimo), il figlio meno favorito è sospinto a valutare se il de cuius, durante la propria vita, abbia disposto del suo patrimonio con donazioni “dirette” (quelle stipulate con atto notarile) o “indirette” (ad esempio, pagando il prezzo dell’acquisto di un immobile che è stato intestato a soggetto diverso dal de cuius stesso). La legittima si calcola sommando il valore del patrimonio del quale il defunto era titolare al momento del decesso con il valore (calcolato alla data di morte) del patrimonio di cui il defunto ha disposto per donazione durante la sua vita. Dar conto in modo trasparente e delle donazioni già avvenute può prevenire discussioni. 3. Il legato a persona convivente La legge riconosce diritti ereditari ai parenti e al coniuge del defunto, nonché alla persona che con il defunto ha stipulato una unione civile. Nessun diritto ereditario sorge invece da un rapporto di convivenza (tranne il diritto di abitare nella residenza familiare per qualche anno), neppure se la convivenza è registrata. Quindi, il convivente superstite non è compreso tra gli eredi legittimi (coloro che ereditano in assenza di testamento) né tra i legittimari (coloro cui è necessariamente riservata una quota di eredità, la “legittima”). Pertanto, se il de cuius vuole beneficiare il convivente, deve farlo mediante donazioni in vita o mediante testamento (senza però violare la quota di legittima). Qualora, dunque, il de cuius intenda provvedere mediante testamento, può disporre a favore della persona convivente, istituendola erede in una quota di eredità oppure lasciandole un legato. In quest’ultimo caso, però, occorre prestare molta attenzione al fatto che la quota di legittima (quella, ad esempio, spettante a un figlio del defunto) non può in nessun caso essere gravata da legati. In altre parole, non si può scrivere: «Lascio a mio figlio Tizio la quota di legittima e gli impongo di pagare un legato di 100 a favore della mia convivente Caia». Nulla impedisce al figlio Tizio di adempiere il legato (in ossequio alla volontà del testatore), ma egli, d’altro canto, potrebbe senz’altro eccepire la nullità del legato a suo carico e rifiutarsi di adempierlo. 4. Condizioni sospensive Attenzione a subordinare le disposizioni testamentarie al verificarsi di eventi futuri, specialmente se “negativi”: «Lascio a Caio la mia biblioteca di libri antichi, ma se Caio non avrà conseguito almeno due lauree entro il suo trentesimo compleanno, la lascio a Tizio». Se l’evento futuro rappresentato nel testamento in senso negativo non si verifica, la disposizione testamentaria va in fumo. Quindi, è pericoloso lasciare un testamento nel quale siano contenute espressioni del tipo: «Se non ritorno dal giro del mondo in solitaria in barca a vela che sto per compiere, nomino erede Caio» oppure: «Se non tornerò dall’ospedale presso il quale mi devo recare per subire un’operazione al cuore, nomino erede Sempronio». È molto facile che, nel caso in cui il testatore ritorni dal viaggio o dall’ospedale, il testamento sia reputato inefficace e cioè sia da considerare come mai scritto. 5. Regole e desideri Il testamento è la “legge” dettata dal testatore in ordine alla trasmissione del suo patrimonio a causa della sua morte. Come tale, dovrebbe contenere una serie di precise “regole” e non espressioni di desiderio, perché queste ultime potrebbero essere intese come disposizioni dalle quali gli eredi potrebbero anche non sentirsi vincolati. È perciò sconsigliabile scrivere espressioni come quelle del testamento del Cavaliere: «Vi prego di prendere atto...» e «dovreste riservare queste donazioni a...», quasi come se appunto si trattasse più di un auspicio che di un’effettiva volontà. 6. La pluralità dei testamenti Ogni qualvolta si scrive un testamento, bisognerebbe coordinarlo con i testamenti eventualmente scritti in precedenza. La legge italiana afferma che le disposizioni contenute in un testamento successivo abrogano, se incompatibili, quelle contenute in un testamento precedente. È facile immaginare come l’espressione di un giudizio di incompatibilità sia, spesso, una questione di difficoltà insormontabile. Perciò, la regola base è che, quando si scrive un nuovo testamento, bisognerebbe revocare i precedenti in modo che, nel nuovo testamento, il de cuius possa dettare ex novo tutte le sue volontà, come non ha fatto Berlusconi. Anche perché, se passano anni, alcuni beni potrebbero essere stati venduti, altri acquistati, la liquidità diminuita o aumentata e così via. Se proprio si vogliono mantenere in vita i testamenti precedenti, bisognerebbe coordinarli con attenzione: in altre parole, se si dispone il medesimo legato in due diversi testamenti («Lascio 100 a Tizio»), può effettivamente sorgere il dubbio se si tratti di un unico lascito oppure se nel testamento successivo si sia voluto raddoppiare il valore dell’attribuzione.